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150 ATTO TERZO
Io dal signor Ferrante immantinente andai;

Una soddisfazione gli chiesi, e l’impetrai.
L’audace Gasperina, Volpino impertinente,
Saran da questa casa scacciati immantinente.
Dorotea. Come? la cameriera scacciar dal mio servizio,
Senza ch’io lo consenta? Nascerà un precipizio.
Lo so che di levarmela tentan per ogni strada.
Gasperina mi serve; non vuò che se ne vada.
E se di allontanarla alcun sarà sì ardito,
Me ne renderà conto il suocero e il marito.
Conte. Non sapea che per essa aveste tal passione.
Se vi serve, tenetela; anch’io vi do ragione.
Basta per soddisfarvi del ricevuto oltraggio.
Che di qua sia scacciato il servitor malvaggio.
Subito, innanzi sera...
Dorotea.   No, no, questi signori
Non vo’ che possan dire, che io scaccio i servitori.
Cercano ogni pretesto per screditarmi al mondo;
Conosco a sufficienza della malizia il fondo.
Diran che mi predomina la collera e l’orgoglio.
Han da restare in casa; lo dico, e così voglio.
Conte. Sempre più, mia signora, prendo di voi concetto.
Veggo che possedete un lucido intelletto.
Io non era arrivato a quel che voi pensate.
Veggo che la giustizia e la ragion amate.
Dorotea. Mi scaldo in sul momento, poi generosa io sono.
Conte. Ben, che vengano i servi a chiedervi perdono.
Dorotea. No no, saran capaci fingere un pentimento.
Ed occultar nell’animo il perfido talento.
Conte. Regolatevi a norma del lucido pensiero.
(Questa è bene una testa original davvero). (da sè)
Dorotea. Conte, a pranzo con noi stamane io v’invitai;
Ma qui di dare in tavola non la finiscon mai.
Conte. So che il comando aspettano solo da voi, signora.
Dorotea. Perchè aspettar ch’io il dica, se trapassata è l’ora?