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204 ATTO PRIMO
Non ho quel brio giocondo, non ho quell’intelletto,

Che altrui di rivedermi possa ispirar l’oggetto.
Conte. Non è la prima volta, che noi ci siam veduti:
Sono i meriti vostri palesi e conosciuti.
Mia figlia che, per dirla, ne sa più di un dottore,
Fa di voi molta stima.
Cavaliere.   Non merto un tale onore.
Conte. Io che padre le sono, e padre compiacente,
So che il suo cor...
Contessa.   Scusate; non sapete niente.
(al Conte)
Conte. Sarà così.
Contessa.   Il mio core conosce il suo dovere.
Sa che a figlia non lice venir da un cavaliere.
Sol per vedere il Feudo si prese un tal sentiero;
Non è vero, signore? (al Conte, arditamente)
Conte.   Sì, cara figlia, è vero.
Paolino. Da un simile discorso chiaro si può capire,
Cavalier, ch’ella teme di farvi insuperbire.
Maschera la cagione, che a lei servì di scorta.
Ma non è per nascondersi bastantemente accorta.
Conte. Male le mie parole, signore, interpretate. (a don Paolino)
Cavaliere. Amico, questa volta, lo so anch’io, v’ingannate.
(a don Paolino)
Questa dama di spirito sa quel che mi conviene;
Per me il tempo prezioso a perdere non viene;
E quando un tanto onore venissemi da lei,
Credetemi, superbo per questo io non sarei.
Contessa. Crederebbe il tributo men del suo merto ancora.
Conte. Che prontezza di spirito!
Cavaliere.   Non per ciò, mia signora.
Ma io, per mio costume, sono egualmente avvezzo
A non curar gli onori, e a non curar lo sprezzo.
Contessa. Signor, l’avete inteso? può dir più francamente,
Che di me non si cura? (al Conte)