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208 ATTO PRIMO
E voi che li affrettate1 al nodo repentino,

Esser cagion potete di un pessimo destino. (al Conte)
Conte. Non vorrei aggravarmi, per dir la verità.
Paolino. Dunque espiar dovete dei cor le volontà.
Cavaliere. Della mia disponete.
Paolino.   E se la figlia oppone?
Conte. Sarebbe un altro imbroglio. Saria una confusione.
Lo zio col testamento vuole che siano uniti,
E se un di lor ricusa, suscita imbrogli e liti.
Cavaliere. Io litigar non voglio.
Paolino.   Il Cavalier si vede
Che è di cuor generoso, e che si accheta e cede,
Pronto a lasciare ad essa tutto l’intiero stato.
Cavaliere. Fate assai ben le parti d’amico e d’avvocato.
So disprezzare i beni, posso donare il mio;
Ma gli altri non dispongono, quando il padron son io.
Lodo che per la dama siate di zelo acceso,
Parmi aver di tal zelo l’occulto fin compreso.
Non curo le ricchezze, non sono innamorato.
Ma per soffrire i torti, non sono un insensato.
Parli pur la Contessa, esponga i suoi desiri.
Non creda che il mio cuore a violentarla aspiri.
Son pronto un sagrifizio fare alla dama onesta.
Ma d' obbligarmi a farlo la via non è codesta;
E voi, don Paolino, che forse in altro aspetto
Veniste a prevenire la dama in questo tetto.
Sappiate ch’io son tutto a compatire usato,
Fuori che un cuor mendace, ed un amico ingrato, (parte)
Conte. Questo latino oscuro spiegatemi in volgare.
Paolino. Evvi ragione alcuna, ond’abbia a sospettare?
Conte. Non crederei.
Paolino.   Vi pare ch’io non sia un onest’uomo?
Conte. Almeno all’apparenza sembrate un galantuomo.

  1. Così le edd. Guibert-Orgeas, Zatta e altre. Nell’ed. Pitteri leggesi: accetteta.