Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XV.djvu/233

Da Wikisource.

L'APATISTA 225
Ma se amar non sapete, non mi tradite almeno.

In me sia debolezza, sia una passione innata,
Tutto il ben che desidero, è il ben d’essere amata;
Non con amor fugace, ma col più saldo e forte,
Quanto amar si può mai da un tenero consorte.
Se ciò mi promettete, vostro il mio cuor sarà;
Quando no, vi rinunzio ancor l’eredità:
Voglio uno sposo amante, voglio un sincero affetto.
Quel che dir vi voleva, ecco, signore, ho detto.
Cavaliere. Con un piacere estremo. Contessa, io vi ascoltai;
Un parlar più sincero non ho sentito mai;
Ed io, che al par di voi sincero esser mi vanto,
Vi dirò il mio pensiero schiettissimo altrettanto.
Se d’amor mi parlate, che è naturale in tutti,
Con cui l’uom si distingue dal genere dei brutti,
Di quell’amor, che ispira la cognizion del bene,
Che la ragion produce, che dal dover proviene,
Lo conosco, l’intendo, di coltivarlo ho cura,
Ma se passion diventa, entro al mio sen non dura.
So che voi siete amabile, lo veggo e lo confesso,
M’impegnerei d’amarvi, come amerei me stesso.
Ma io per me medesimo non piango e non sospiro.
Nè soffrirei per altri un simile deliro.
Contessa. Sareste voi geloso?
Cavaliere.   No, un simile sospetto
Mi sembra abbominevole.
Contessa.   Segno di poco affetto.
Cavaliere. Questa mia buona fede, sia vizio o sia virtù,
Pare che mi consoli, nè cerco aver di più.
Contessa. Dunque dareste a sposa la libertade intera.
Cavaliere. Certo la mia catena non le sarebbe austera.
Contessa. Ognun trattar potrebbe.
Cavaliere.   Chiunque piacesse a lei.
Contessa. Senza temer rivali.
Cavaliere.   Temere io non saprei.