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226 ATTO SECONDO
Contessa. E se la libertade soverchia a lei concessa,

D’altro amor la rendesse in vostro danno oppressa?
Cavaliere. No, preveder non posso, che in saggia onesta dama
Rendasi il cuor capace di biasimevol brama.
L’onore è quel tesoro che donna ha in maggior pregio,
E custodirlo insegna di nobiltade il fregio.
Con tal giusto principio cheto vivendo in pace,
Crederei la mia sposa d’una viltà incapace;
Certo, che se non vale il fren della ragione,
Ogni custodia è vana contro la rea intenzione.
Però non mi crediate stolido a sì alto segno,
Da tollerare aperto un trattamento indegno.
Senza scaldarmi il sangue, se tal pensiero avesse,
Io mi farei suo giudice colle mie mani istesse.
Contessa. Questo è quel che mi piace. (s’alza)
Cavaliere.   Simil discorso è vano
Con voi, che possedete cuore gentile e umano.
Contessa. Non sdegnereste adunque di essere mio consorte.
Cavaliere. Anzi di un dono simile ringrazierei la sorte.
Contessa. Cavaliere, mi amate? (con tenerezza)
Cavaliere.   Amo in voi la virtù.
Contessa. Questo amor non mi basta. (come sopra)
Cavaliere.   Io non so amar di più.
Contessa. È ver che il volto mio non può vantar bellezze,
Ma uno sguardo amoroso...
Cavaliere.   Non so far tenerezze.
Contessa. Possibile?
Cavaliere.   No certo.
Contessa.   Provatevi.
Cavaliere.   Ma come?
Contessa. Tenero pronunciate di cara sposa il nome.
Cavaliere. Cara sposa. L’ho detto.
Contessa.   Ma non con tenerezza.
Cavaliere. Non ci ho grazia, credetemi.
Contessa.   Fatelo per finezza.