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L'APATISTA 263
Paolino. Eccomi al vostro piede.

(s’inginocchia a lei vicino)
Non partirò, mia vita, se il vostro cuor non cede.
(Stando in ginocchio si appoggia col capo alla sedia senza parlare, e la Contessa rimane immobile col fazzoletto agli occhi.)

SCENA II.

Il Conte Policastro e detti.

Conte. (Entrando nella camera vede li due nella positura suddetta, osserva un poco, poi pian piano torna a partire senza dir niente.)

Contessa. Sento gente. Levatevi. (s’alza)
Paolino.   Non vi è nessun, mia cara.
(alzandosi)
Ah, sempre più vi scorgo meco di grazie avara.
Per togliervi dappresso a un infelice oggetto,
Basta a giustificarvi un’ombra di sospetto.
Siam soli, e pria che alcuno s’inoltri a queste porte,
Datemi la sentenza di vita, ovver di morte.
Ditemi, se soffrire deggio un sì rio tormento;
Per soddisfarvi ancora saprò morir contento.
Contessa. Ah, non credea vedermi condotta a questo passo.
Son donna, e nel mio seno non chiudo un cuor di sasso.
Di forza e di coraggio posso arrogarmi il vanto;
Ma oimè, non so resistere in faccia a un sì bel pianto.
Don Paolino, vinceste. Vi amo, ma che per questo!
Posso mancar di fede a un cavaliere onesto?
E voi, che ospite siete del Cavaliere istesso,
Tradireste l’amico dalla passione oppresso?
Paolino. La mia ragione è antica: non ebbe in questo loco,
Suscitato dal caso, principio il nostro foco.
Mia veniste qua dentro, mia per legge d’amore:
Reo non son io, se tento ricuperar quel core;