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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XV.djvu/322

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314 ATTO TERZO

SCENA V.

La Contessa, don Armidoro ed il Cavaliere.

Contessa. O è semplice, o lo finge, non la capisco un zero;

Di ridurla per altro al mio volere io spero.
Fin che in un altro amore non giungo ad impegnarla,
L’arte del capitano sperar può d’obbligarla.
Ed io, per avvilirlo, in mente mi ho fissato
Di voler quel superbo deriso e disprezzato.
Cavaliere. Eccomi ai cenni vostri.
Armidoro.   Eccolo qui, signora.
Ve l’ho condotto io stesso. Siete contenta ancora?
Contessa. Vi ringrazio, Armidoro, ma fatemi un piacere;
Ite nell’altra camera colle mie cameriere.
Armidoro. A cosa far?
Contessa.   Tenetele un poco in allegria.
Sola col Cavaliere vo’ stare in compagnia.
Armidoro. Con serve e servitori voi mi mettete in mazzo?
Anderò via, signora.
Contessa.   Eh, non mi fate il pazzo.
Ite in un’altra camera, e quando vi vorrò,
Quando venir dovrete, allor vi chiamerò.
Armidoro. Vado, non so che dire. (La grazia sua mi preme,
Bramo di star con essa una mezz’ora insieme).
(da sè, e parte)

SCENA VI.

La Contessa ed il Cavaliere.

Cavaliere. (Eppure io mi lusingo colla mia sofferenza

Aver sopra d’ogn’altro da lei la preferenza).
Contessa. Cavalier gentilissimo, con voi me ne consolo.
Cavaliere. Di che?
Contessa.   Di un bell’acquisto fatto così di volo.
In fatti chi ha del merito, chi è come voi gentile,
Trionfa a prima vista del sesso femminile.