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LA DONNA BIZZARRA 315
Cavaliere. Io non merito niente1; ma se tal cosa è vera,

Premio sarà soltanto di servitù sincera.
Contessa. Qual servitù, signore, se la miraste appena?
Cavaliere. Chi?
Contessa.   La Romana.
Cavaliere.   In fatti siete graziosa e amena.
La baronessa Amalia cosa ha che far con me?
Credea d’altro parlaste. Sono ingannato, affè.
Mi pareva impossibile.... Basta, vi vuol pazienza,
Pretendere non posso da voi la preferenza.
Soffrirò volentieri senza speranza il foco;
Ma di me non vorrei che vi prendeste gioco.
Contessa. Vi dirò. Cavaliere, sia detto infra di noi,
La mia scelta pendeva tra il capitano e voi:
Prima di dichiararmi, per consigliar me stessa,
Volli per amicizia sentir la Baronessa.
Mentre di voi le parlo, impallidir la miro:
Sentole uscir dal labbro un languido sospiro.
La cagion le domando del suo novel tormento:
Risponder non ardisce, e singhiozzar la sento.
Ma poi tanto la prego col mio parlare umano,
Che la riduco alfine ad isvelar l’arcano.
Alle corte, con me la giovin si è spiegata,
Che appena vi ha veduto, di voi si è innamorata.
E l’ha detto di core, non già per bizzarria;
Convien dir che sia questa virtù di simpatia:
Convien dir che il destino l’abbia condotta qui.
Donna non ho veduto a sospirar così.
E tanta compassione mi fe’ la Baronessa,
Che a voi preso ho l’impegno di favellare io stessa.
Sagrifico all’amica un cuor ch’io stimo ed amo:
La pace sua desidero, la pace vostra io bramo.
Questi son quegli amori, che durano in eterno,
Nati senz’avvedersene da un movimento interno.

  1. Ed. Zatta: merto.