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320 ATTO TERZO

SCENA X.

La Contessa, il Cavaliere, e poi la Baronessa.

Cavaliere. Dite la verità, Contessa mia garbata,

Siete per Armidoro veramente impegnata?
Contessa. Oibò.
Cavaliere.   Perchè tenerlo dunque in tale speranza?
Contessa. Ecco la Baronessa, che viene in questa stanza.
Quando di voi le ho detto quel che fra noi passato,
Mi ha abbracciata sì stretta, che quasi mi ha stroppiato.
Cavaliere. (Ora vedrò, se è vero questo amor stravagante).
Contessa. Periglioso è l’incontro, ma l’ho previsto innante.
(poi rivolta alla Baronessa)
Venite, Baronessa; venite pur, bisogna
In simili occasioni superar la vergogna.
Baronessa. Serva sua. (s’inchina, mostrando un poco di rossore)
Cavaliere.   Riverente. (la saluta con qualche confusione)
Contessa.   Chi mai l’avrebbe detto.
Che nascere dovesse quest’improvviso affetto?
Eppure ella è così; eppur sono frequenti
Nel regno di Cupido consimili portenti.
Trovasi in tutti i corpi magnetica virtù,
Che attrae violentemente or meno, ed ora più.
Son le cose insensate soggette a cose tali,
Molto più vi saranno soggette le animali;
E in chi della ragione gode il supremo dono,
Gl’impulsi e le attrazioni difficili non sono.
Ma la ragion per altro nell’alme delicate
Fa che le inclinazioni talor sian contrastate;
E veggono l’effetto in voi presentemente,
Che ancora non ardite spiegarvi apertamente.
Io son depositaria però de’ vostri arcani;
Gl’impulsi di natura in voi non saran vani.
Di simile avventura, ve lo protesto, io godo,
E ritrovar m’impegno di consolarvi il modo.