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438 ATTO QUINTO
Fulgenzio.   Nol sapete?

Dorotea. Non lo so, e non lo credo.
Giuseppina.   Signor, v’ingannerete.
Fulgenzio. Come poss’io ingannarmi, se il vecchio adesso adesso
In Spezieria del Cavolo l’ha raccontato ei stesso?
E nominò il notaro che ha fatto l’istrumento,
E d’abiti e di gioje va a far provvedimento.
Giuseppina. Questa mi giunge nuova.
Dorotea.   Credo che voi sognate.
Fulgenzio. Si ha da saper s’è vero.
Dorotea.   Rosa dov’è? Aspettate. (parte)

SCENA III.

Fulgenzio e Giuseppina.

Fulgenzio. Questo sarebbe un torto alla maggior sorella.

Giuseppina. E che l’abbia permesso codesta ignorantella?
Fulgenzio. Non sarebbe gran caso che avesse acconsentito.
Qual è quella fanciulla che sdegni aver marito?
Giuseppina. E che si sia sposata senza dir nulla a me?
Fulgenzio. In casi di tal sorte ciascun pensa per sè.
Per comprar un vestito la donna si consiglia,
Ma se le danno un sposo, sta zitta, e se lo piglia.
Giuseppina. Crederlo ancor non posso.
Fulgenzio.   Diranlo i labbri suoi.
Ma s’ella si è sposata, sposatevi anche voi.
Giuseppina. S’ella fatto lo avrà, il zio sarà contento.
Fulgenzio. Non vi sarà bisogno del suo consentimento.
Da me il Governatore di tutto è prevenuto,
Ha promesso di darvi il necessario aiuto.
Esser non può tiranno lo zio colla nipote;
Vi dovrà per giustizia concedere la dote.
Subito dovrà farlo, se l’altra è collocata.
Giuseppina. E sarà la minore prima di me sposata?
Fulgenzio. Quello ch’è fatto, è fatto.