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LA DONNA DI GOVERNO 445
Che il padrone lo sappia, e sia d’accordo ancora;

Ma se con lui si abboccano, se parlan di tal fatto,
Come potrò, se il chiede, nascondere il contratto?
La carta è in mano mia, posso celarla... è vero;
Ma sospettoso il vecchio lo crederà un mistero.
Sono in un brutto impaccio. Ah sorella malnata,
Tu sei la mia rovina, tu m’hai precipitata.
Fin ch’io fui da me sola, mi ressi in questo loco,
Tentando e migliorando la sorte a poco a poco.
Ella, sia per amore, oppur per interesse,
Uscir mi ha consigliato da quelle vie permesse.
Il cielo, il ciel permette, pel mal che noi facciamo,
Che la ragion si perda, che ciechi diveniamo.
E quel che intesi dire, or nella mente ho fisso,
Che in un abisso entrando, si va nell’altro abisso
Or che sarà di me, di lei, di Baldissera?
Tutti precipitati saremo a una maniera.
Ma il perdere, pazienza, la grazia del padrone;
Perderò in faccia al mondo la mia riputazione.
Ed io che tanto feci per esser rispettata.
Dovrò di questa casa uscir disonorata?
Povera me! Vien gente. Vo’ a mettermi in un canto.
Quel ch’io debba risolvere, mediterò frattanto.
S’esco da tal pericolo, giuro di mutar vita.
Giuro, per fin ch’io viva, di vivere pentita.
Ah se alcun mi sentisse, direbbe: il marinaro
Si scorda del pericolo, quando passato ha il faro.
Ma io no certamente. Farò una mutazione.
Bastami di salvare la mia riputazione. (parte)

SCENA X.

Giuseppina, Dorotea, Rosina, Fulgenzio,
Ippolito, il Notaro.

Fulgenzio. Non ci vuole in sua camera, vuol che aspettiamo qui.

Dorotea. Non mi parto, se credo star fino al nuovo dì.