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LA DONNA DI GOVERNO 447

SCENA XII.

Valentina e detti.

Valentina.   Eccomi qui, signore.

Fabrizio. Cosa dice costui? (accennando il Notaro)
Valentina.   So quel che dir volete.
Se mi udirete in pace, tutto, signor, saprete.
Ascoltatemi voi, m’oda la terra e il cielo.
Il carattere mio sinceramente io svelo.
Nacqui in bassa fortuna, del mio destin mal paga
La condizion servile di migliorar fui vaga,
E in queste soglie istesse i conquistati onori
Mi guadagnai coll’opera, e mi costar sudori.
Che non fec’io, signore, per acquistar concetto?
Che non fec’io per essere gradita in questo tetto?
Tutti servir m’accinsi, e le padrone istesse
Potean de’ miei servigi esser contente anch’esse.
Ma per destino avverso da voi fui troppo amata,
E l’amor del padrone render mi fece odiata.
L’odio l’odio eccitando, anch’io di sdegno accesa,
La vendetta schernita colla vendetta ho resa,
E l’animo ripieno di femminil dispetto,
Disseminai pur troppo discordie in questo tetto.
Ma questo è il minor fallo, più desta il mio rossore
Fiamma che ho coltivato di un imprudente amore.
Venni a servir qua dentro dal primo amor piagata.
Gli occhi di Baldissera m’aveano innamorata;
E a voi celando il foco che ardea ne’ petti nostri,
Piacevole un po’ troppo mi resi agli occhi vostri.
Una povera figlia senza sostanza alcuna
Cercò mal consigliata di far la sua fortuna.
So che l’error fu grande, ma mi sedusse il cuore
Il comodo, l’esempio, la povertà, l’amore.
Giunsi coll’amor mio soverchiamente ardito
Far creder di Felicita quel ch’io volea in marito;