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il Goldoni intendesse esaltare il popolo. Ma in questa (e in altre parecchie!), secondo il Falchi, «scarsissime sono le tracce del sentimento dell’autore». Ancora: «A questa cameriera non si deve però attribuire una soverchia importanza. Essa non è il tipo della cameriera, come il vecchio imbecille non è l’uomo di alcuna classe sociale». Valentina «è figura non nuova nelle commedie antiche: non comune, invece, anzi molto rara, e nella produzione goldoniana». E poi si pente e «l’anima che si pente — conclude fiducioso il Falchi — deve avere originarie inclinazioni al bene» (Intendimenti sociali di C. G., Roma, 1907, pp. 63, 64). Ragioni tutte così speciose che provocarono già l’ironia di chi ebbe a valutarle prima di noi (Marietta Ortiz, [Rassegna Goldoniana], Giorn. stor. d. lett, it., voi. LII, p. 197). Per voler troppo Luigi Falchi esce di carreggiata. O non avverte che la gloria del Goldoni, grande e sincera, è nell’aver fatto nel suo teatro al popolo il posto che hanno nobili e borghesi, ma senza accarezzarlo, con ogni suo istinto buono e cattivo?

Se v’ha chi in questa commedia preferisce di non vedere quel che c’è, vi ha chi arriva a scorgervi ciò che essa assolutamente non ha. Chi legge p. e.: «La serva ingannatrice e il vecchio burlato tornano a interessare per quel profumo di poesia che anche i fiori disseccati conservano» (Il Piccolo, Trieste, 4 maggio 1901, in occasione d’una ripresa del lavoro), o elogi come questo: «c’è finezza aristocratica di linee, c’è un continuo succedersi di quadretti graziosi, miniati con una maestria insuperabile» (Il Gazzettino, Trieste, stessa data), imagina trattarsi di qualche gentile ricamo del Marivaux.

La Donna di governo si rappresentò secondo l’edizione Pitteri nell’autunno del 1758, data che assai bene s’accorda con questa notizia sulla sua composizione in una lettera scritta dal Nostro il 5 luglio al Vicini: «Domani vado un poco in villa a respirare, dopo due commedie novellamente finite, La donna di governo e la Sposa sagace» (Rivista di Roma, 10 febbr., 1907, P- 65).

Dell’incontro fatto dalla commedia e su ciò che ne pensasse l’a., informano le Memorie: «M’occuperò poco del lavoro seguente [aveva detto prima della Vedova spiritosa], che, a motivo della sua debolezza, non ne vale la pena; è la D. d. g. Non v’ha nulla di sì comune e nulla di meno interessante che questa specie di serve padrone che ingannano i loro padroni per mantenere i loro amanti. La servetta ch’era un’attrice discreta credette di ravvisare sè stessa nella sua parte: forse aveva qualche ragione di crederlo; il suo cattivo umore la rendeva fastidiosa e ridicola. Sia per colpa del lavoro che per quella dell’esecuzione, la D. d. g. cadde alla prima recita e fu ritirata senz’altro» (P. II, cap. XXXV). Il Goldoni mostrò teneri sensi per opere sue di ben più scarso valore che non sia questa. Con la condanna troppo spiccia e troppo sommaria non s’accordano per fortuna le sorti avute dal dramma. Diamo qui in ordine cronologico le recite che potemmo rintracciare, tutte nell’ottocento, oltre alle già ricordate.

Nel 1828 vide la D. d. g. al D’Angennes di Torino il Platen, interprete, come nel 1827 a Milano, la Comp. del Duca di Modena, e ne loda l’esecuzione (Die Tagehucher, 1900, vol. II, p. 881).

Nel 1830, 29 marzo, al San Luca di Venezia, la recita la Comp. Modena e Soci (cfr. Gazz. privilegiata).