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510 ATTO TERZO

SCENA VI.

Il Cavaliere e detti.

Cavaliere.   Servitore obbligato.

Policarpio. Che comanda, signore? (al Cavaliere)
Cavaliere.   Vengo al pranzo invitato.
Policarpio. Da chi?
Cavaliere.   Dalla padrona.
Policarpio.   Ed io che cosa sono?
Cavaliere. E dell’uno e dell’altro è generoso il dono.
Policarpio. Io sono un uom sincero, vo’ dir la verità.
Non ci ho merito alcuno.
Cavaliere.   Effetto di umiltà.
Duca. Cavatevi la spada, mettete giù il cappello.
Fate come ho fatt’io. (al Cavaliere)
Policarpio.   (Anche quest’altro è bello).
(da sè, accennando il Duca)
Cavaliere. Ecco, accetto il favore che mi vien accordato
Dal padrone di casa. (ripone la spada ed il cappello)
Policarpio.   (Ed io non ho parlato), (da sè)
Duca. La padrona di casa andate a riverire,
Perchè a don Policarpio qualche cosa ho da dire.
(al Cavaliere)
Cavaliere. (Temo ch’ei mi prevenga, e d’impedir mi preme...)
(da sè)
Parlate pure, andremo a riverirla insieme. (al Duca)
Duca. Udite una parola. (a don Policarpio, tirandolo in disparte)
Policarpio.   Eccomi, son da lei.
(al Duca, accostandosi)

SCENA VII.

Il Conte e detti.

Conte. Servo, don Policarpio, servo, signori miei.

Policarpio. Sì presto, signor Conte, anch’ella è ritornato?
Conte. Del generoso invito protestomi obbligato.