Vai al contenuto

Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XV.djvu/559

Da Wikisource.

LA SPOSA SAGACE 551
Petronilla. E me lo dite in faccia?

Cavaliere.   Il Duca è un uom sincero,
E anch’io, perchè son tale, vo’ palesarvi il vero.
Mi piacea donna Barbara, e se mei permettete,
Lascio d’incomodarvi.
Petronilla.   Al diavol quanti siete. (parte)
Policarpio. (Da galantuom ci ho gusto, e lo so io il perchè;
Farà per l’avvenire conversazion con me). (da sè)
Barbara. Signor, se il concedete, vorrei dirvene una.
Policarpio. Dite quel che volete.
Barbara.   Sapete ch’io son sposa.
Policarpio. Sì, le vostre prodezze sono abbastanza note.
Barbara. Se non andaste in collera, vi direi della dote.
Policarpio. No, non vi faccio un torto. Quello che ho destinato,
Benchè noi meritate, un dì vi sarà dato.
Barbara. Tanta bontà non merita, è ver, una figliuola
Che al suo dover mancando...
Mariano.   Signora, una parola.
Barbara. Che cosa vuoi, Mariano?
Mariano.   La vostra tabacchiera
Invece di Mariano l’avrà la cameriera?
Ed io, povero diavolo, sarò sì mal trattato?
Barbara. È giusto, che ti vegga tu pur ricompensato.
Da te conosco in parte la mia felicità.
Ecco dieci zecchini. (gli vuol dar una borsa)
Lisetta.   Signora, date qua.
(leva la borsa di mano a donna Barbara)
Non vo’ ch’egli mi creda di un animo sì avaro.
Gli do la tabacchiera, ed io terrò il danaro.
Mariano. Bella finezza in vero!
Policarpio.   Ah schiuma di bricconi!
Fuori di casa mia, nemici dei padroni.
Barbara. Signor, per dir il vero, sgridate con ragione.
Ho fatto quel che ho fatto, ancor per sua cagione.
Io non avrei ardito di unirmi ad un consorte,