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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XV.djvu/60

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52 ATTO TERZO
Cavaliere. Quel che da voi desidero, placidamente udite.

So che dal padre vostro di voi la bella mano
Per mia sventura estrema offerta è al mio germano;
Ma il genitor non giunge a vincolarvi il cuore,
Bramo saper da voi, se vi acconsente amore.
Isabella. Gli occulti miei pensieri svelare io non intendo:
Son figlia, e ciò vi basti. Dal genitor dipendo.
Cavaliere. Questa risposta incerta mi anima alla costanza.
Se il cuor non impegnaste, mi resta una speranza.
Il Duca mio germano, che maggioranza ostenta,
Se voi nol preferite, per ciò non mi spaventa.
E il principe Fernando, che ha le mie nozze a sdegno,
Basta che voi vogliate, le accorderà, m’impegno.
Ed a tentar mi sprona la risoluta impresa.
Speme che voi non siate di mio germano accesa.
Isabella. Ah signor, lusingarvi oltre il dover non bramo;
Sposa son io del Duca, e, vel confesso, io l’amo.
Cavaliere. Sorte crudel! Ma ditemi: tanto vi accese amore,
Che altri sperar non possa di meritar quel core?
Isabella. Voi mi obbligate a dirlo; vi parlerò sincera.
Chi l’amor mio pretende, mal si lusinga e spera.
Cavaliere. Questo crudel rifiuto non soffre un’alma accesa;
Non cesserò per questo di ritentar l’impresa.
Donna Isabella, il modo di vendicarmi ho in mano;
Per rendervi delusa, svelar posso un arcano.
Fra noi resti sepolto, se a me non siete ingrata:
Lo farò noto al mondo, se veggovi ostinata.
Quanto importi il segreto, udite, e decidete:
Del principe Fernando voi la figlia non siete.
Isabella. Oh ciel!
Cavaliere.   Sì, vel confermo, ed io mentir non soglio.
Eccovi un testimonio verace in questo foglio.
Evvi noto il carattere? (mostrando il foglio)
Isabella.   Ah misera infelice!
Questa carta fatale vergò la genitrice.