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54 ATTO TERZO
Oimè! donna Isabella? Che fa? pensa o riposa?

Mi priverà il destino di sì amabile sposa?
Isabella. Ah, non vi è più rimedio. Stelle, che vedo mai?
(si alza un poco, e scopre il Duca)
Luigi. Scusatemi, vi prego, se ardito io mi avanzai.
Della governatrice l’orme ricerco invano.
Isabella. Ite da queste soglie, ite, signor, lontano.
Luigi. Tanto rigor non merta chi vi fu scelto in sposo.
Isabella. Nome soave un tempo, che or pronunciar non oso.
Luigi. (Oimè, di sposo il nome turba il cuor d’Isabella?
Ah, di donna Marianna sparsa è la ria novella.
Per mia maggior sventura pubblico è già l’arcano.
Tento il martir nascoso dissimulare invano). (da sè)
Isabella. Deh per pietà, vi supplico, da queste porte andate.
Luigi. Dite almen la ragione.
Isabella.   Parlar non mi obbligate.
Luigi. Sì, v’intendo pur troppo, e la ragione è tale,
Ch è al mio, come al cuor vostro, durissima e fatale.
Con mio dolore estremo tutto alfine è svelato.
Isabella. (Ah, pubblicò l’arcano il Cavaliere ingrato!)
(da sè)
Luigi. Non può celarsi il vero. Nè io più lungamente
Volea tale avventura coprire inutilmente.
L’arcano a donna Placida sono a scoprir venuto.
Qual sollecito labbro mie labbra ha prevenuto?
Isabella. Il cavalier Ansaldo diedemi il colpo atroce.
Luigi. So qual disegno ha spinto quell’animo feroce.
Egli m’invidia un bene, che prometteami il cielo.
L’amor che per voi nutre, copre dell’empio il zelo.
Isabella. Finse che a lui soltanto fosse palese il vero:
Tacerlo in faccia al mondo promise il menzognero.
Or che pubblica è resa la mia fatal sventura,
Duca, perchè ad affliggermi venite a queste mura?
Luigi. Coperto di rossore mirate il mio sembiante.
Ma del destino ad onta, vi adorerò costante.