Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVI.djvu/356

Da Wikisource.
350 ATTO QUINTO
Marchesa.   Ah, nel pensarvi io tremo.

Non per timor di lui, che il traditor non temo.
Ma nel vedermi in faccia di quel fellon l’aspetto.
Trattener non mi fido lo sdegno ed il dispetto.
Fabrizio. Fate quel che vi ho detto, frenatevi per poco,
E sarete contenta al terminar del gioco.
Tal cosa ho macchinato, che se mi assiste il cielo,
Voi sarete contenta, io mostrerò il mio zelo.
Marchesa. E il Marchese?
Fabrizio.   Il Marchese, anzi per meglio dire,
Il mio caro padrone non tarderà a venire.
Avvisar io l’ho fatto, che in casa mia voi siete;
Fra brevissimi istanti venir voi lo vedrete;
E toccherà con mano, se voi siete innocente,
E vedrà da se stesso chi è stato il delinquente.
Marchesa. Ed il Conte?
Fabrizio.   Anche il Conte comparirà opportuno.
Marchesa. Non vorrei si dicesse...
Fabrizio.   No, non vi è dubbio alcuno.
Sento gente. Celatevi là dentro in quella stanza.
State pur di buon animo.
Marchesa.   Non manco di costanza.
Sono in via, non mi arresto. All’amor tuo mi affido,
E all’ultimo de’ mali nel mio valor confido.
(entra in una stanza laterale)

SCENA 11.

Fabrizio, poi il Marchese.

Fabrizio. Chi sarà quel che viene? Egli è il padron. L’indegno

Contro di me infelice l’ha provocato a sdegno.
Marchese. Sei tu, vile ministro di quella donna ardita.
Che a vendicar miei torti contro d’entrambi invita?
Dov’è colei?