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468 ATTO TERZO
Fabrizio. Voi chi siete?

Felicita.   Felicita son io.
Fabrizio. Quella appunto, a cui fatta ho la scrittura.
Eh, vi tratterrà qui qualche desio.
Felicita. Questa è la verità sincera e pura:
Non so ballar, non me n’importa un fico,
Anzi ne son contraria per natura.
Se venissi con voi, chiaro vel dico,
Fatevi conto di vedere un ceppo,
Buono soltanto da recare intrico.
Bellissima davvero! Il mondo è zeppo
Di ballerini, e intorno a me venite?
Nè anche se foste nato sur un greppo.
Fabrizio. Resto stordito a quello che mi dite;
Se il maestro di ballo m’ha ingannato,
O stracciamo la scritta, o facciam lite,
E mi renda il danaro anticipato;
Ma ancor io credo che scherziate meco,
Per piacer di vedermi sconsolato.
Felicita. Voi mi vedrete, se non siete cieco;
Peggio vedrete di quel che vi ho detto.
Fabrizio. Perchè dunque il maestro vi tien seco?
Felicita. Abborrisco un mestiere maledetto;
Abborrisco il ballar, come il demonio;
Ed ei vuole ch’io balli a mio dispetto.
Perchè fa di scolare un mercimonio;
E per aver di sue fatiche il prezzo,
Non gli preme ingannar Tizio o Sempronio.
Fabrizio. E un buon sensale, a contrattare avvezzo
Musici e ballerini, assicurato
Mi ha, che voi siete un mobile di prezzo.
Felicita. Eccomi qui, signore mio garbato;
Quel mobile ch’io son, voi lo vedete.
Pare a voi ch’egli merti esser sprezzato.1

  1. Così il testo, probabilmente errato, dell’ed. Zatta.