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492 ATTO QUINTO
Qualche volta mi suol la Giuseppina.

Per quanto serio attentamente i’ specoli
Per conoscere il cor di quella donna,
Non arrivo a capirlo in dieci secoli.
A me talora, come a sua colonna
Par ch’ella pensi; e poi se dolcemente
Seco parlo d’amor, sbaviglia e assonna.
Ridolfo. Maestro mio, dirò sinceramente
E con vera amistà quel che mi pare
Intorno ai grilli della vostra mente.
La peggior cosa che possiate fare
Contro il vostro interesse, è il far l’amore
Colle vostre dolcissime scolare.
Prima di tutto il loro precettore
Non lo stimano più. Rende l’affetto
L’alterigia del sesso ancor maggiore.
O non fanno niente, o per dispetto
Fanno le cose, e il maestro innamorato
Non può, non sa correggere il difetto.
E se talvolta per lo zelo irato,
Colle scolare a taroccar si mette,
Corre periglio d’esser malmenato.
E in vece di ritrar dalle civette
L’util corrispondente alla fatica,
E l’unguento e le pezze vi rimette.
Amico mio, non fate che si dica,
Che monsieur Rigadon nella sua scola
Tenga le mule per la sua lettica.
Rigadon. Dite ben, dite ben; vi do parola,
Che tutte le terrò in soggezione;
Altra non voglio amar, che questa sola.
Anzi per dirvi la mia intenzione,
Ho pensato di prenderla in isposa
Per terminar di mettermi in canzone.
Ridolfo. Giuseppina è contenta?