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SCENA III.

Pasqualino e detto.

Pasqualino. Carluccio, per l’appunto, giva di voi cercando.

Carluccio. Eccomi, Pasqualino! Sono al vostro comando.
Pasqualino. Avete alcuna recita pel carnoval venturo?
Carluccio. Ho dei trattati molti; ma nessun di sicuro.
M’han scritto da Torino, mi han scritto da Milano,
Son stato ricercato da un principe germano;
Ma senza una gran paga non vuò sagrificarmi,
E ho forse per quest’anno idea di riposarmi.
Voi andate a cantare?
Pasqualino.   Di certo ancor nol so.
Ma se si accorda un punto, anch’io mi accorderò.
Carluccio. Fatevi pagar bene. Fate com’io far soglio;
Sei, settecento doppie, e cantar quando voglio.
Pasqualino. Affé, le buone paghe a questi dì son rare;
Per non istare in ozio tutto convien pigliare.
Pel carnoval di Mantova, mi ha offerto un cavaliere
Zecchini ottantacinque, i viaggi ed il quartiere.
Carluccio. (Più di ottanta a un tenore, e ad un sopran sessanta?
Che impertinenza è questa! No, Carluccio non canta).
Pasqualino. Ieri mi fu proposto, se avea difficoltà
Con altri virtuosi d’unirmi in società,
E prendere un teatro, e far le spese noi,
E tentar la fortuna.
Carluccio.   Fatelo, son con voi.
La mia voce in Venezia ancora non s’intese;
M’impegno, se mi sentono, si spopola il paese.
Faccio stupire il mondo, se a faticar mi metto;
Al doppio si può crescere il prezzo del viglietto.
Non preme, se i compagni non valesser un fico.
Posso bastar io solo. So io quel che mi dico.
Per empiere il teatro basta la mia persona,
Quando fosse il teatro la Rena di Verona.