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ATTO QUARTO.

SCENA PRIMA.

Camera di locanda con lumi.

Lucrezia e il Conte Lasca.

Conte. Spiacemi che dal Turco venir non ho potuto,

Ma tutto intieramente so quel ch’è succeduto,
So dell’altre due donne la vaga pretensione,
E do a voi nel confronto giustissima ragione.
Lucrezia. Eh, so che fate celia.
Conte.   Il termine spiegate.
Lucrezia. Fate celia, vuol dire che voi mi corbellate.
Conte. Perchè?
Lucrezia.   Perchè ragione mi date a me dappresso,
E all’altre cinguettando direte lor lo stesso.
Ma con meco, signore, menate il can per l’aia;
Se mi vien la saetta, vi pagherò la baia.
Conte. Eh via, senza ragione voi vi movete a sdegno;
Per voi, ve lo protesto, preso ho il più forte impegno.
Qui non decide il merito, non ve n’abbiate a male;
Credo di voi ciascuna passabilmente eguale.
Per cantar alle Smirne ognuna è sufficiente,
Sia prima, o sia seconda, la cosa è indifferente;
Ma sostener volendo tre donne i dritti suoi,
Presso dell’impresario m’impegnerò per voi.
Lucrezia. Mettendomi al confronto con femmine da nulla,
Credete, a quel ch’io sento, non meriti una frulla.
Conte. Anzi vi stimo un mondo; il merito ho capito,
Benchè la vostra voce non abbia mai sentito.
Avete dello spirito, sapete comandare;