Annina. As ved apertament, che jè della malizia;
Per causa d’amor, al n’ha fatto st’ingiustizia1.
Conte. Venite, se volete, soscrivere ciascuna, (a Tonina ed Annina)
Tonina. Mi, se son prima donna, farò la so fortuna.
(ad Alì, e va al tavolino)
Annina. Al fareu di quattrin s’al se fidas de mi.)
(ad Alì, e va al tavolino)
Alì. Pussibile che Conte star traditor de Alì?
Star tanto in confusion, che no saver che far,
E quel che despiaser, no intender a cantar,
E no saver mi dir, se musica star bona,
E sempre aver paura trovar zente barona.
Lucrezia. Cos’ha, signor Alì, che sembrami accigliato?
Alì. Squasi, squasi pentir de quel che mi aver fato.
Lucrezia. Perchè?
Alì. Perchè pagar per zente bona e bella,
E dubitar che musica Smirne non sia più quella.
Lucrezia. Davver vi compatisco; non san quelle sguaiate,
In materia di musica, nemmeno se sian nate;
Non hanno i fondamenti, cantano così male,
Che qui non trovan recite nemmeno in carnovale.
Alì. Star compagne de ti.
Lucrezia. Vi domando perdono.
Sentirete alle Smirne, che femmina ch’io sono.
Alì. (Mi non aver più testa).
Conte. Le scritte son qui pronte.
(dà le scritture ad Alì)
Alì. (Mi no creder più gnente, ne à femene, nè a Conte).
Tonina. Serva, sior impresario. Domattina a bonora,
Co levarò dal letto, no sarà dì gnancora.
El s' arecorda ben, volemo che sia fata,
Avanti d’imbarcarse, la nostra cioccolata. (parte)
Annina. No, no, la cioccolata la n’om pias nient affatt,
Piutost ch’al me prepara un bon caffè in tal latt. (parte)
- ↑ Così il testo. Forse al n’ha fatt ecc.