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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVII.djvu/351

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Lucrezia. lo vado a ritirarmi, che il tempo se ne va;

Se vogliono restare, li lascio in libertà.
Ci rivedrem domani sull’alba del mattino.
Serva sua, signor Conte. Signor Alì, m’inchino. (parte)
Conte. Davver, signor Alì, sia detto a gloria mia,
Di donne sta benissimo la vostra compagnia;
E le avete ad un prezzo...
Alì.   Conte, mi dubitar.
Che ti per bella donna me voler ingannar.
Conte. Di voi mi meraviglio. Che manieraccia è questa?
Alì. Conte mio, compatir, no saver.... no aver più testa1.

SCENA V.

Nibbio e detti.

Nibbio. Per seicento zecchini il musico ho fermato (ad Ah)

Conte. Chi fermaste?
Nibbio.   Carluccio.
Conte.   Quel musico sguaiato?
Signor, non lo prendete, ch’è una caricatura. (ad Alì)
Alì. Musico non voler. (a Nibbio)
Nibbio.   Firmata è la scrittura.
Non vi è caso a pentirsi, e scritturai, signore,
Il secondo soprano e il musico tenore.
Alì. Senza che mi saver?
Nibbio.   Doman si ha da partire;
A unir la compagnia non si può diferire.
Conte. In questo non ha il torto. (ad Alì)
Nibbio.   E tutti ho già fermati.
Quei che son necessari per essere impiegati.
Alì. In tutti quanti star?
Nibbio.   Il numero sarà
Di settanta persone.
Alì.   Ah scialamanacà!

  1. Così l’edizione Savioli.