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310 ATTO TERZO

Fulgenzio. Mi racconterete con comodo; permettete che ora vi dica....

Filippo. No, no, sentite, se volete ridere....

Fulgenzio. Ora non ho gran voglia di ridere. Ho necessità di parlarvi.

Filippo. Eccomi, parlate pure come vi aggrada.

Fulgenzio. Ora, signor Filippo, che siete ritornato in città....

Filippo. Conoscete voi il medico di Montenero?

Fulgenzio. Lo conosco.

Filippo. E il suo figliuolo lo conoscete?

Fulgenzio. No, non l’ho mai veduto.

Filippo. Oh che capo d’opera! Oh che testa balorda! Oh che carattere delizioso! Cose, cose da smascellarsi.

Fulgenzio. Non mancherà tempo. Sentirò anch’io volentieri....

Filippo. Ed è toccato a me a giocare a bazzica con questo sciocco.

Fulgenzio. Amico, se non mi volete ascoltare, ditemelo liberamente. Me n’anderò.

Filippo. Oh! cosa dite mai? Se vi voglio ascoltare? Capperi! Il mio caro amico Fulgenzio, v’ascolterei se veniste di mezza notte.

Fulgenzio. Alle corte. Ora che siete tornato a Livorno, pensate voi di voler concludere il maritaggio di vostra figliuola?

Filippo. Ci ho pensato, e ci penserò.

Fulgenzio. Avete ancora veduto il signor Leonardo?

Filippo. No, non l’ho ancora veduto. So che è stato qui; ma non l’ho ancora veduto. Già io ho da esser l’ultimo in tutto, e sarò l’ultimo ancora in questo.

Fulgenzio. (Da quel ch’io sento, pare non sappia niente dei disordini di Leonardo).

Filippo. A Montenero io era sempre l’ultimo in ogni cosa. Sino al caffè i garzoni servivano tutti, ed io l’ultimo.

Fulgenzio. Ora, nell’affare di cui si tratta, voi avete da essere il primo.

Filippo. Eh! lo so perchè ho da essere il primo. Perchè ho da metter fuori gli ottomila scudi di dote.