Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1915, XX.djvu/289

Da Wikisource.

L’AMORE PATERNO 277

Arlecchino. La compassion l’è bella e bona, ma per aiutar i altri non avemo da pregiudicar i nostri interessi.

Camilla. No, caro Arlecchino, per grazia del cielo abbiamo tanto di bene, da poter far del bene anche agli altri.

Arlecchino. Se avemo del ben, non è mai troppo, e no se sa quel che possa nasser; e bisogna far conto dei zorni grassi per paura dei zorni magri.

Camilla. Ma il bene che si fa, è sempre bene; e non bisogna mai diffidar della provvidenza, anzi dobbiamo esser certi che il cielo ricompensa le opere buone, e che sempre più saranno migliorati i nostri interessi.

Arlecchino. Orsù, mi no voggio sentir altre prediche. Quel che xe sta, xe sta. Intendo, voggio e comando che ti licenzi subito sior Pantalon.

Camilla. Ma dove andrà questo povero galantuomo?

Arlecchino. Che el vaga dove che el vol.

Camilla. E le sue povere figlie?

Arlecchino. No le xe nè nostre fìe, nè nostre sorele, e nu no gh’avemo obligo de pensarghe.

Camilla. Caro Arlecchino, se mi volete bene, ascoltatemi. Soffrite ch’io vi dica il mio sentimento, e poi farò tutto quello che voi volete. E vero che non sono del nostro sangue, ma sono però il nostro prossimo; hanno bisogno di noi, e se noi fossimo nel loro caso, avressimo piacere di trovar della carità, e bisogna fare ad altri quello che vorremmo che fosse fatto per noi. Oltre a ciò, considerate bene che tutto quello che abbiamo al mondo lo abbiamo avuto dal signor Stefanello, che era fratello del signor Pantalone e zio di queste povere figlie, e che trovandosi essi in miseria, siamo obbligati a soccorrerli per gratitudine, per onestà e per giustizia.

Arlecchino. Basta. Per la bona memoria del sior Stefanello, no digo niente, te perdono; quel che xe sta, xe sta. Ti li ha tenudi in casa un mese senza dirmelo, senza scriverme niente, pazenzia. Ma quanto tempo ha da durar sta faccenda? Quando favorisseli d’andar via?