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278 ATTO PRIMO

Camilla. Spererei che presto dovessero gli affari del signor Pantalone cangiar aspetto. Ci sono qui a Parigi degli italiani impegnatissimi per far del bene al signor Pantalone. Vengono qui sovente a far un poco di conversazione. Sono incantati della virtù e del merito delle figliuole.

Arlecchino. E perchè no ghe troveli casa? Perchè no ghe dai da magnar? No xeli anca lori el so prossimo? Perchè mo avemio nu da esser più prossimi dei altri prossimi?

Camilla. Questi italiani che vengono qui, sono giovani, non hanno donne. Il signor Pantalone è un uomo onorato, le sue figliuole sono bene accostumate, e finchè sono nella mia casa, fanno una buona figura, e nessuno può mormorare.

Arlecchino. Alle curte, quanto tempo resterali ancora in sta casa?

Camilla. Non saprei. Dite voi, caro Arlecchino, quanto vi contentate che restino?

Arlecchino. Oggio mi da stabilir el tempo?

Camilla. Sì, stabilitelo voi.

Arlecchino. Vintiquattr’ore, e gnanca un minuto de più.

Camilla. Così poco?

Arlecchino. Tant’è. Vintiquattr’ore.

Camilla. Ma non è possibile...

Arlecchino. Pussibile o no pussibile, cussì l’intendo, e cussì ha da esser. Tutto xe preparà per le nostre nozze. Avanti che se sposemo, voi la casa libera e desbarazzada. Pénseghe ti, altrimenti te digo e te protesto, che no vôi altro da ti, che strazzerò el contratto, che venderò tutto el mio, che andarò a Bergamo a maridarme, e che te lasserò qua col to prossimo, e colla to compassion.

Camilla. No, ascolta, caro Arlecchino...

Arlecchino. No gh’è altro da dir, non ascolto altre rason. Vintiquattro ore de tempo. O Pantalon, o Arlecchin, o el prossimo, o el marido, o la compassion, o l’amor. Addio, a revéderse, ti m’ha capido. (parte)