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L'AMORE PATERNO | 305 |
Pantalone. I frutti. (ascoltandola con grande attenzione)
Clarice. Indi del vasto mar solcando i flutti,
Piantò l’arbor feconda in terra argiva.
Pantalone. Che vol dir in Grecia. Ah? cossa diseli? Se pol dir de meggio?
Florindo. (Che cattivo principio!) (a Petronio)
Petronio. (Cattivissimo). (a Florindo)
Celio. Che dite? Non è una quartina stupenda? (a Petronio)
Petronio. Stupenda. (a Celio)
Pantalone. Da capo, da capo, e le staga zitte, le goda, e no le interrompa più fina in ultima.
Clarice. Del Nilo un tempo, e dell’Eufrate in riva,
Sparse Minerva di scienza i frutti.
Indi del vasto mar solcando i flutti,
Piantò l’arbor feconda in terra argiva.
Roma, l’invida Roma, in cui fioriva
La gloria sol de’ popoli distrutti,
Coi talenti di Grecia in lei tradutti
Dissipò l’ignoranza in cui languiva.
Sotto lungo dappoi barbaro sdegno
Giacque incolta l’Europa, e i bei vestigi
Rinnovò di virtù l’italo ingegno.
Ora la saggia Dea de’ suoi prodigi
Prodiga è resa delle Gallie al regno.
Menfi, Roma ed Atene oggi è in Parigi.
Pantalone. Oh brava! Oh pulito! (battendo le mani) Menfi, Roma ed Atene oggi è in Parigi. Ah! xele cosse da donna? o xele composizion da Petrarca, da Ariosto, da Metastasio?
Celio. E viva la signora Clarice.
Florindo. Bravissima. (Non si può far peggio). (a Petronio)
Petronio. (Puh che roba!) (a Florindo)
Celio. Non si può negare che il sonetto non sia un capo d’opera. (a Petronio)
Petronio. Pare anche a me, che sia un capo d’opera, (a Celio) (Io non ho inteso una parola).