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LETTERA

DEL SIGNOR

GOLDONI

AL SIGNOR

MESLÉ.1


E

CCOMI, Signor mio, alla vigilia di esporre per la prima volta a questo Pubblico una mia Commedia. Questa è una cosa, che ho di lontano moltissimo desiderata, e che ora da vicino mi fa tremare. Voi siete un buon conoscitore del Teatro, voi lo amate e lo frequentate, e vi è nota la difficoltà d'incontrare con un tal genere di produzioni. A me piucchè agli altri si rende malagevole un tale impegno, e per lo mio scarso talento, e per la situazione in cui mi ritrovo. Non nego di essere stato fortunato in Italia, e di aver acquistato con poco merito maggior onore di quello mi si doveva, ma ciò è derivato dalla miseria in cui languivano i Teatri del mio Paese, ed il poco che ho fatto mi ha valuto per molto. Ora sono in Parigi, dove il valoroso Molier gettati ha i semi della vera Commedia, e dove tanti felici ingegni l'hanno si ben coltivata ed adorna. Un popolo sì illuminato per natura, per educazione, e per genio, avvezzo alle più brillanti e alle più regolate rappresentazioni, non averà per me l’indulgenza de’ miei parziali compatrioti: ed ecco la ragione del mio timore, che amareggia ogni mia contentezza. Ma vano è ormai ogni mio pensamento. Mi sono lasciato adulare dalla speranza: ho ceduto al cortese invito. L'amor proprio mi ha consigliato, mi ha qui condotto. Sono nel grande impegno e deggio adempierlo come posso.

  1. La presente lettera tu riprodotta anche nel t. V (1763) dell’ed. Pasquali di Venezia, dopo il testo italiano dell’Amor paterno, pp. 320-322. Più tardi la ristamparono il Paravia e il Masi.