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IL VENTAGLIO 413

Geltruda. In poche parole le dico il mio sentimento. Un titolo di nobiltà fa il merito di una casa, ma non quello di una persona. Non credo mia nipote ambiziosa, nè io lo sono per sacrificarla all’idolo della vanità.

Conte. Eh, si vede che voi avete letto le favole. (scherzando)

Geltruda. Questi sentimenti non s’imparano nè dalle favole, nè dalle storie. La natura gl’inspira e l’educazione li coltiva.

Conte. La natura, la coltivazione, tutto quel che volete. Quello ch’io vi propongo è il barone del Cedro.

Geltruda. Il signor Barone è innamorato di mia nipote?

Conte. Oui, madame.

Geltruda. Lo conosco, ed ho tutto il rispetto per lui.

Conte. Vedete che pezzo ch’io vi propongo?

Geltruda. È un cavaliere di merito...

Conte. E mio collega.

Geltruda. È un poco franco di lingua, ma non c’è male.

Conte. Animo dunque. Cosa mi rispondete?

Geltruda. Adagio, adagio, signor Conte, non si decidono queste cose così sul momento. Il signor Barone avrà la bontà di parlare con me...

Conte. Quando lo dico io, scusatemi, non si mette in dubbio; io ve la domando per parte sua, e si è raccomandato, e mi ha pregato, e mi ha supplicato, ed io vi parlo, vi supplico, non vi supplico, ma ve la domando.

Geltruda. Supponiamo che il signor Barone dica davvero.

Conte. Cospetto! Cos’è questo supponiamo? La cosa è certa: e quando lo dico io...

Geltruda. Via, la cosa è certa. Il signor Barone la brama. Vossignoria la domanda. Bisogna bene ch’io senta se Candida vi acconsente.

Conte. Non lo saprà, se non glielo dite.

Geltruda. Abbia la bontà di credere che glielo dirò. (ironica)

Conte. Eccola lì, parlatele.

Geltruda. Le1 parlerò.

  1. Nel testo li. Così correggono quanti curarono le numerose ristampe del Ventaglio.