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particolarmente applaudita Virginia Zolli (Giannina). Anche le parti maschili furono rese con tanto impegno e verità che il relatore della Gazzetta di Venezia (17 marzo 1913) delle animose interpreti fece senz’altro degli interpreti.


Era «una gran commedia», e non soltanto per la fatica durata nel comporla, come modestamente intende l’autore. Di farraginose azioni tessute intorno a cose inanimate la scena aveva esempi anteriori al Goldoni. Ricorda, tra gli altri, il Croce uno scenario del Porta, la Notte, dove questi con un sol sasso fe’ nascere tanti varii successi, che insieme destavano il riso e la meraviglia degli uditori» (I Teatri di Napoli, 1891, p. 79). Ma prima e dopo il Ventaglio, il Teatro non ha altra commedia di puro intreccio dove meno si scorga l’artificio. Meno che in questa. Artificio?... La macchina non stride, non ansa: corre da sè. Gelosie, invidie, curiosità la muovono: le piccole passioni d’un piccolo mondo sperduto nella campagna. Presto i giri si fanno più rari. Il nodo si scioglie in piana, logica maniera.

Commedia non tutta nuova ne’ vari elementi onde s’intesse. Attinge l’autore al rigoglioso suo serbatoio per trarne gelosie e curiosità che aiutarono già ad imbastire, ad arruffare altri intrecci. Altre - tante! - coppie d’innamorati, prima di Evaristo e Candida, si procacciano nel teatro goldoniano pene e fastidi per diffidenze ingiustificate. Candida, come Eugenia, spinta dalla passione, si promette a chi non ama... E il Conte? Questo personaggio che nulla è e tutto vuol essere - gustosa caricatura de’ nobili decaduti, contro i quali il Goldoni moveva con sempre garbata satira - rinnova sott’altre spoglie l’ineffabile marchese di Forlipopoli. L’episodio del ventaglio, diventato nelle mani del Conte un suo munifico dono al Barone, rammenta la boccettina, cui nella Locandiera tocca simile ventura (cfr. Il Ventaglio, ediz. annotata da C. Levi, Napoli, Pironti, 1912, p. 75). Ed è veramente nuova l’idea d’un innocuo ventaglio che turba la quiete di tutto un paese? Nuova nel teatro del Goldoni. Ma egli conosceva Le cerimonie di Scipione Maffei (cfr. vol. I, p. 69; vol. VII, p. 98 della pres. ediz.), dove ha non esigua parte un altro ventaglio di novissima invenzione, quindi ben più prezioso del nostro. Però, come questo, ministro inconscio di umane passioni, genera ripicchi e gelosie e storna un matrimonio già presso a concludersi (cfr. Il Ventaglio, ed. annotata per i tedeschi da E. Maddalena, Berlin, Simion, 1895 [Piccola Biblioteca italiana], prefazione; Commedie scelte di C. G., con pref. di N. Vaccalluzzo, Palermo, 1915, pp. 591-3).

I modi, onde tali evanescenti ricordi di invenzioni proprie ed altrui si tramutano e acquistano ben diversa vita nel geniale crogiuolo goldoniano, son quelli della Commedia dell’arte. Della quale il Ventaglio appare l’estrinsecazione artistica più alta, la trasfigurazione, vorremmo quasi dire.

Aveva già il Goldoni nel suo bagaglio teatrale, fra molte altre, due famosissime commedie d’intreccio, il Servitore di due padroni e il Figlio d’Arlecchino perduto e ritrovato: scritta la prima, scenario l’altra: tipiche ambedue ne’ diversi generi. Del Figlio d’Arlecchino, che a Parigi ebbe immensa fortuna, si sa solo (dal riassunto - altro non resta) come mai fantasia di commediografo concepisse matassa più arruffata. Il Servitore annunzia la prima felice fusione dell’arte goldoniana coi procedimenti del teatro estemporaneo, così come