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IL MATRIMONIO PER CONCORSO 537

Fontene. (Or ora sento intenerirmi ancor io). (da sè)

Rose1. (Gran pazzia d’un padre! Povera fanciulla, mi fa pietà). (da sè)

Doralice. (Oh cieli! non ho più veduto il signor Roberto. Ah, che sarà forse anch’egli pentito di usarmi quella pietà che mi aveva sì teneramente promessa. Tornasse almeno mio padre). (da sè, con passione)

Rose. Oh via, signora, datevi pace; troverò io vostro padre; gli2 farò conoscere il torto ch’egli vi ha fatto3, e cercherò ch’ei vi ponga rimedio.

Fontene. Cosa volete voi parlar con4 suo padre, ch’è l’uomo più irragionevole, più bestial5 della terra? (a monsieur la Rose)

Doralice. Eppure è stato sempre mio padre il più saggio, il più prudente uomo del mondo.

Fontene. Oh, oh, ho capito. Se difendete vostro padre, siete d’accordo con lui, e non credo più nè alle vostre smanie, nè alla vostra onestà.

Doralice. Malgrado al pregiudizio ch’io ne risento, io non ho cuore di sentirlo a maltrattar in tal guisa.

Fontene. Vostro padre è un pazzo. Non è egli vero, monsieur la Rose?

Rose. Non so che dire. Il pover’uomo si è regolato assai male.

SCENA XI.

Anselmo e detti.

Doralice. Eccolo il mio povero padre6: vi prego di non mortificarlo soverchiamente.

Fontene. Come?

Rose. Chi?

Doralice. Non lo vedete il mio genitore?

Rose. Questi?

  1. Mancano nelle ed.i cit. queste parole di Rose.
  2. Così le ed.i cit. Nell’ed. Zatta: le.
  3. C. s.: che egli vi ha fatto il torto.
  4. C. s.: parlare a.
  5. C. s.: bestiale.
  6. C. s.: Eccolo mio padre. Vi prego ecc.