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IL MATRIMONIO PER CONCORSO 543

Roberto. Signore, scusatemi, ho qualche difficoltà a persuadermi che vostra1 figlia sia innamorata del locandiere.

Pandolfo. Se ciò non fosse, non lo direi, e lo dico con mio rossore, perchè io amo2 di dire la verità; e se non lo credete, aspettate. Sentirete da lei medesima, se ciò sia vero. (va ad aprire la porta, ed entra3. Roberto, pensieroso, non bada dove entri Pandolfo.)

SCENA XV.

Roberto, poi Doralice.

Roberto. Ah sì, quando il padre lo dice, quando lo sostiene con tanta costanza, sarà pur troppo la verità. Perfida! chi mai avrebbe creduto, ch’ella sapesse fingere ad un tal segno? Ch’ella sapesse mascherare colla modestia la passione, e forse la dissolutezza? Ah, non si può sperare di meglio dalla figliuola di un padre vile: ecco l’effetto della4 pessima educazione. Ha ragione il signor Anselmo. Io sono un pazzo, uno stolido, un insensato. Ma sono a tempo di rimediarvi. Sì, ci rimedierò.

Doralice. Ah signor Roberto!...

Roberto. Ingrata! così corrispondete alla mia pietà, all’amor mio?

Doralice. Deh signore, non vi dolete di me; non è mia colpa.

Roberto. E di chi dunque sarà la colpa, se non è vostra?

Doralice. Mio padre mi obbliga mio mal grado....

Roberto. Vi obbliga vostro padre ad amare un uomo ch’è maritato?

Doralice. Come? È maritato?

Roberto. Non lo sapete, o fingete di non saperlo?

Doralice. Oh cieli! che volete che sappia una povera giovane5 forastiera, che lasciasi condur dal padre....

Roberto. Che dite voi del padre? Egli ha miglior sentimento6 di voi, ed è vano che facciate pompa di una virtù, che non conoscete.

  1. C. s.: che la vostra ecc.
  2. C. s.: perchè amo ecc
  3. C. s.: apre la porta ed entra in camera. Manca il resto.
  4. C. s.: di una.
  5. C. s.: una giovane ecc.
  6. C. s.: senno.