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156 ATTO TERZO

Lindoro. Un uomo ch’ama una femmina maritata, può ben anche maritarsi e conservare la sua passione.

Roberto. Oh, questo è troppo. Il vostro sospetto, la vostra malizia eccede i limiti dell’onestà. Se siete capace di pensar sì male degli altri, fate sospettare di voi stesso.

Lindoro. Orsù, signore, voglio arrendermi ancora per questa volta ed attendere questa nuova scoperta. Come pensate voi di condurvi col signor don Flammio?

Roberto. Gli ho scritto una lettera, l’ho consegnata al contadino ch’ha portato il cesto di peri... A proposito, guardate se la gelosia v’accieca, se la passion vi trasporta! Mio figlio manda i peri per la famiglia, e voi lo prendete per un presente particolare a Zelinda, insultate quell’uomo, perdete il rispetto a me, alla mia casa, ed io ho ancora tanto amore per voi?

Lindoro. È vero, avete ragione, sono acciecato, son fuori di me stesso. Vi domando perdono... E così, signore, che cosa gli dite nella vostra lettera?

Roberto. Gli ordino di ritornare immediatamente in città.

Lindoro. Ma! se la lettera scritta in francese è scritta dal signor don Flaminio, oggi sarà segretamente in Pavia, e il contadino non lo ritroverà più.

Roberto. Ecco quello che mi fa credere maggiormente che quella lettera non è sua. Mingone m’assicura che l’ha lasciato al castello, e che l’aspetta innanzi sera con un abito e della biancheria che ha mandato a prendere.

Lindoro. Bisognerebbe mandarlo subito.

Roberto. Subito. In due ore di tempo sarà arrivato.

Lindoro. Oh, ce ne vorranno ben quattro.

Roberto. No, perchè è qui colla sedia.

Lindoro. Colla sedia? Un contadino avea bisogno di venir in sedia?

Roberto. Ne ha bisogno per portar l’abito e la biancheria.

Lindoro. (Scommetto che, colla stessa sedia, è venuto alla città don Flaminio). (da sè)

Roberto. Vado a spedirlo immediatamente.

Lindoro. Signore, vi vorrei pregar d’una grazia.