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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/265

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LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 259

Zelinda. (Non so in che mondo mi sia). (agitata, e s’allontana un poco)

Lindoro. Ammazzami, se non mi credi, (le va dietro in ginocchio)

Zelinda. Oimè! mi vien male.

Lindoro. (Balza in piedi) Vita mia, presto, un poco di spirito di melissa. (l’accosta alla bocca di Zelinda)

Zelinda. (Beve lo spirito di melissa.)

Lindoro. Anch’io, anch’io ne ho forse più bisogno di te. (beve anch’egli la melissa) Un altro pochmo. (ne dà ancora a Zelinda, ed essa beve) Un altro pochino a me. (ne beve anch’egli) Ti fa bene?

Zelinda. Mi par di sì. (respirano tutti due)

Lindoro. Ma, gioia mia, ditemi per carità cos’avete, perchè quelle smanie, quei tremori, quelle convulsioni?

Zelinda. Scusatemi1, caro marito, tu sai più d’ogn’altro la forza dell’amore, ed il tormento della gelosia...

Lindoro. Ah sì, capisco benissimo il fondo delle tue smanie, delle tue lagrime, de’ tuoi deliri. Sai ch’io sono stato geloso: temi ch’io lo sia ancora. Ti pare che ne sia restato qualche vestigio, ma non è vero, t’inganni, non lo sono, e non lo sarò più: e per provarti che non lo sono, va dove vuoi, va con chi vuoi, va pure dall’avvocato, sola, accompagnata, come ti piace, con chi ti pare. Io vado a far la commissione di don Flaminio. Addio, cara, a rivederci. Pensa a volermi bene, e vivi quieta sulla mia parola. Parto un poco contento, mi par di vederti rasserenata. Mai più gridori, mai più gelosie. Pace, pace, amore, e contenti. (L’abituazione di soffrire, m’ha reso oramai forte e costante con gli assalti della gelosia), (da sè, parte)

SCENA XVIII.

Zelinda sola.

(A Tutto quest’ultimo discorso di Lindoro, è sempre stata come stupida, guardandolo senza dir niente, e dopo ch’è partito, si scuote) Ho ca-

  1. Così l’ed. Zatta, e forse così il manoscritto. Ma in tutte le edizioni posteriori si credette dì dover correggere, stampando Scusami.