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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/287

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LE INQUIETUDINI DI ZELINDA 281


Zelinda. Scusatemi, non ho forza presentemente per portarlo da me.

Servitore. Oh, cosa dite mai? Sono servitore di casa, ed è intenzione del padrone che siate anche voi servita. (parte)

Zelinda. Eh, avrò finito d’esser servita. Ma che importa? Sono superfluità, sono vanità. Quando si sta bene di salute, ci possiamo servire da noi medesimi. (va all’armadio) Ecco qui la mia povera roba, che mi costa tanti sudori.

Servitore. (Con il baule) Eccolo, signora.

Zelinda. Oh sì, signora! Mettetelo qui, se vi piace.

Servitore. Subito.

Zelinda. Fatemi la carità d’aprirlo.

Servitore. Ma sì, comandatemi.

Zelinda. Fatemi la carità di mettergli una sedia di dietro.

Servitore. Con queste cerimonie, io credo che vi prendiate spasso di me. (le pone la sedia)

Zelinda. No, figliuolo mio, non sono sì cattiva per burlarmi di nessuno, nè ho il cuore sì lieto per divertirmi. (leva le robe e le mette nel baule)

Servitore. Signora, scusatemi. Perchè fate questo baule? Andate in campagna, o avete intenzione d’abbandonarci?

Zelinda. Sentite, quando sarà pieno questo baule, mi farete la carità...

Servitore. Fatemi la carità di non parlarmi così.

Zelinda. Oh via, siete buono. Voi conoscete il signor Pancrazio.

Servitore. Il procuratore.

Zelinda. Sì, egli stesso. Portarete questo baule pieno al signor Pancrazio, e gli direte da parte mia ch’abbia la bontà di dispensar questa roba1 in aiuto di chi più gli piace.

Servitore. Povero sono anch’io, signore; mi dispiace che non son vergognoso.

Zelinda. Non ho voglia di sentir barzellette. Mi farete il piacere di farlo?

  1. Nell’ed. Zatta e nelle vecchie ristampe quasi sempre è stampato robba.