Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1923, XXII.djvu/70

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62 ATTO SECONDO

SCENA IX.

Federico in abito da viaggio, e detti.

Federico. Ben trovato, Arlecchino.

Arlecchino. Bon zorno, Federigo, ben tornado. Vegnìu da Roma? (con premura)

Federico. Sì, vengo da Roma.

Arlecchino. Cossa fa el barba del nostro patron?

Federico. Il zio del padrone è morto.

Camilla. È morto il zio del signor Roberto? (a Federico)

Federico. È morto, ed ha lasciato il nipote erede di tutto il suo.

Arlecchino. S’alo recordà de mi? (a Federico)

Federico. Sì, di voi, e di me:1 mille scudi per ciascheduno.

Arlecchino. No vago più a Roma. (a Camilla con un poco di gioia)

Camilla. (Lo volesse il cielo!) (da sè)

Arlecchino. Lo salo el patron? (a Federico)

Federico. Lo sa; l’ho trovato alla Posta, gliel’ho detto, e siamo venuti qua insieme.

Arlecchino. Vodo più andar via?

Federico. A quel che dice, andrà a vedere gl’interessi suoi; ma non partirà così presto.

Arlecchino. Allegramente. Dov’èlo el patron? (a Federico)

Federico. È in camera del signor Anselmo. Credo che vi sia qualche altra cosa di nuovo.

Arlecchino. Disè, disè...

Federico. Non posso trattenermi. Il padrone mi aspetta; son venuto a vedervi. Addio. (parte)

SCENA X.

Arlecchino e Camilla.

Arlecchino. Bone nove per mi. (a Camilla)

Camilla. (E per me ancora, se potessi sormontare questa indegna timidità). (da sè)

  1. Nell’ed. Pasquali c’è punto fermo.