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108 ATTO PRIMO
Le mie onorate gloriose imprese

Scemar di pregio a tuo voler non ponno.
Altri ch’un empio, disleale, infido
Vincermi non potea, dopo d’avermi
Giurata eterna l’amistà, la fede.
Chi creduto avria mai ch’il re Germondo,
Dopo que’ tanti benefici e tanti
Ond’io lo resi al settentrion temuto1 O,
Contro l’amico suo volger potesse
Gli stessi benefici e fargli oltraggio?
Dell’averti difeso il patrio regno
Contro Svezzi e Danesi e contro ai Sciti
Sarà mercè l’avermi ucciso un figlio?
Io, per cui tu sei re (che noi saresti
Senza l’aiuto mio), io dovrò dunque
Per le tue stesse man perdere il regno?
Anima ingrata, abbominando core!
Rosmonda. Tutto ancor non dicesti: egli è colui
Che i miei affetti violentare ardisce:
Quell’amante superbo (a dirlo io tremo)
Che può offrirmi una destra ancor fumante
Del sangue d’un germano, e vuol che siano
Le pompe nuziali e stragi e morti.
Germondo. Alerico, di me ti lagni a torto.
Non mi scordo i tuoi doni, e tu rammenta
Quanto feci per te. Non ti sovviene
De’ Vandali, de’ Russi e de’ Poloni
La guerra a te fatal? Chi ti sottrasse
Dal furor di tant’armi? Io fui che ardito
Co’ miei Norvegi e co’ Svedesi in lega
I tuoi nemici discacciai di Aranna,
E assicurai della tua Gotia il regno.
Allora fu che di Rosmonda il volto
Si offerse agli occhi miei. Fu allor ch’in seno

  1. Così nell’unico testo dell’ed. Zatta.