Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/135

Da Wikisource.

ROSMONDA 133
Stenone.   Ah che mi chiedi!

Dicanti ciò ch’io bramo i miei sospiri.
Alvida. Sol che tu voglia, io sarò tua; la mano
T’offro e il mio cor, se meritarlo ardisci.
Stenone. Per acquisto sì bello ogni cimento
Andrò lieto a incontrar.
Alvida.   Offesa io sono;
Voglio vendetta, e la mia destra è il premio
Del mio vendicator.
Stenone.   Svela il nemico;
Spento sarà pria che tramonti il sole.
Fosse ancora Germondo, io non lo temo.
Alvida. No no, più lieve impresa io ti propongo.
Chi mi offese è una donna.
Stenone.   E un sì gran prezzo
Proponi, o cara, a sì leggier cimento?
Obbedita sarai.
Alvida.   Vedi se a meno
Obbligarti poss’io. Vanne, e se brami
La mia fè, l’amor mio, Rosmonda uccidi.
Stenone. Rosmonda?
Alvida.   Sì: tu impallidisci?
Stenone.   Oh stelle!
Alvida. È leggiero il cimento.
Stenone.   E in che t’offese?
Alvida. Di più non ricercar. Cieco ubbidisci
Se ti cale di me.
Stenone.   Che mai m’imponi?
Tua rivale è Rosmonda, e a me commetti
Del geloso amor tuo la ria vendetta?
Alvida. Val sì poco il mio cor che a sì vil prezzo
Meritarlo ricusi?
Stenone.   Ah! dovrei dunque
Toglier Rosmonda di Germondo al core
Perch’egli aprisse alle tue fiamme il varco?