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152 ATTO QUINTO
Germondo. Ahi qual vista fatale! lo che gioisco

Sol nell’esser pietoso, a mio dispetto
Usar dovrò la crudeltade?
Cratero.   I numi
Non che gli uomini, o re, dan lode e vanto
Alla pietà che inutilmente usasti;
Non aspettar ch’alla viltade arrivi
L’abusata clemenza.
Stenone.   I Goti istessi
Miran con sdegno il barbaro re vinto
E porgon voti per la sua caduta.
Germondo. Un sol non v’è, ch’in suo favor mi parli.
L’unico difensor del mio nemico
Io fui sinora e lo difesi invano.

SCENA II.

Alvida e detti.

Alvida. Ah signor, e fia ver che tua pietade

Perdoni il fallo mio?
Germondo.   Sì, di Stenone
Alle preci donai le proprie offese.
La tua colpa mi scordo, e da me apprendi
Quella virtù che non conosci ancora.
Alvida. Dunque nel mio perdon non ebbe parte,
Germondo, l’amor tuo? Sol di Stenone
Mi donasti alle preci?
Germondo.   Egli n’ha il merto.
Alvida. Il tuo dono riprendi. Io non mi curo
Di vita o libertà, se del tuo affetto
Lusingarmi non posso. Odio, abborrisco
Colui che me difese, e volontaria
Torno a ripor fra’ duri lacci il piede.
Stenone. Crudelissima donna!