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158 ATTO QUINTO
Cessin col mio morir gli sdegni vostri,

S’io ne fui la cagion. Nella mia tomba
Siano gli odi sepolti. Il sangue sparso
Dell’estinto germano abbia l’intera
Sua vendetta da me; questo sol dono
Una figlia, un’amante al punto estremo
Chiede a un padre pietoso, a un re che l’ama.
Alerico. (Tacete, o di natura affetti ascosi,
Tacete per pietà; non mi destate
Palpito di dolor. Moriam da forti).
Germondo. E sarà ver, bella Rosmonda, oh Dio!
E sarà ver che l’innocente labbro
Bevuto abbia la morte?
Rosmonda.   Ah sì; mi sento
Giunta al fin della vita. Appoco appoco
Veggo il giorno oscurarsi e le pupille
Miran confusi e tenebrosi oggetti.
I palpiti del cuor crescendo vanno,
E la tremula voce ormai non vale
A scior i lenti ed interrotti accenti.
Alerico. Muori pur generosa oh figlia, oh vera
Parte di questor cor, del sangue mio.
Ci riunirem fra poch’istanti, in luogo
Più felice per noi.
Germondo.   Numi dei cieio,
Dovrò perder Rosmonda? Anima mia,
Così tosto mi lasci?
Rosmonda.   Oh Dio! Germondo,
Che gran perdita è mai questa che piangi?
Queste infelici mie frali sembianze
Onde ti piacqui, e queste infauste luci
Onde ferito il seno tuo rimase,
Vedrai tosto cangiarsi. In un momento
Vedrai sparir dal volto mio le rose
E di un tetro pallore annuvolarsi.