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160 ATTO QUINTO
Perchè sospendi? E tu, ministro eletto

Al mio supplizio, a che trattieni il colpo?
Germondo. Ah! no; vivi, spietato. Io più non curo
La morte tua. Fui di Rosmonda amante,
Pugnai per essa e sol per essa ho vinto.
Or ch’estinto è il mio ben, nè del tuo regno,
Nè di te più mi cale. Il tuo rimorso,
Il tuo tardo dolor sia del tuo cuore
Il carnefice crudo. Una sol morte
Poca pena sarebbe ai tuoi delitti.
Tante pene crudeli e tante morti
Prova, barbaro re, quante riserba
A te il vindice fato ore di vita.
Alerico. Oh spietato destino! Oh re inumano!
Dove s’intese mai ch’a un infelice
Si neghi anche la morte? Ah sì, crudele,
Vuoi eternar nel seno mio le pene,
Perchè siano le mie pene d’inferno.
Ma no, non v’è nell’orrido profondo
Pena eguale alla mia. L’ardente foco
Ch’abbrucia e non consuma, il freddo gelo
Ch’agghiaccia e non ristora, i crudi serpi
Ch’avvelenan co’ morsi e non dan morte,
Le acute spine, le taglienti spade,
Le pesanti catene, i bronzi, i marmi,
I schifosi bitumi, i zolfi accesi,
Le continue vigilie, i fieri stridi,
Le bestemmie, l’ingiurie e le percosse,
L’ugne rapaci delle crude arpie,
Delle furie l’aspetto, e degli orrendi
Spiriti condannati il torvo ceffo,
Gioie a me sembreriano1, appo di questa
Pena crudel ch’il seno mio tormenta.
Cratero, per pietà, quel ferro impugna,

  1. Nel testo: sembrariano.