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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/207

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LA GRISELDA 205
La pietà che a me nieghi, a! figlio almeno;

Anzi (se troppo l’amor mio non chiede)
Permettimi, signor, che imprimer possa
Su quel tenero volto un caro bacio.
È mio sangue Everardo, ed è tuo sangue;
Tu pietoso il riguarda, e a me concedi
Questo lieve conforto.
Gualtiero.   O là, si guidi
Everardo a Griselda.
(ad una guardia che sta alla porta, ed al cenno del Re parte
Griselda.   Oh me felice
Presso del figlio mio!
Gualtiero.   Griselda, io vado;
Che la sposa m’attende.
Griselda.   Oh Dio! sì vanne.
Perdonami se troppo al caro oggetto
Ti trattenni lontano; io già nel volto
Veggo la pena tua, veggo la forza
Che facesti al tuo cor nel star qui meco.
Vanne pur dalla sposa, e se ti piace,
Recale in nome mio... Ma che presumo!
Ah no, cela più tosto il nome mio
Alla consorte tua, ch’egli potrebbe
Farla troppo temer della tua fede.
Gualtiero. Non più; t’affretta a ritornar al bosco.
(Ceder mi converrà, se più l’ascolto). (da sè, parte
Griselda. Qual prodigio è mai questo? Io posso dunque
Perder Gualtiero, e non morir? Sì poco
Possente è il mio dolor? La mia rivale
Pietà mi desta anzi che sdegno? È questa
Stupidezza o virtù? Numi del cielo,
Sarà vostro favor... Ma viene il figlio...