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238 ATTO SECONDO
Se ti sembro crudele; un sposo, un figlio

M’attendono colà; da te la vita
Ebbi, è ver, ma la diedi al figlio mio.
Vieni meco, se vuoi; ma se tu sdegni
Meco venir, restati in pace: io spero
Rivederti ben tosto, e vado intanto
Delle viscere mie, del caro figlio,
Se vivo, a vagheggiar le care luci,
Se morto, a lagrimar sul freddo busto.
Guardami almen; dammi un soave amplesso.
Padre. (s’abbracciano
Artrando.   Figlia.
Griselda.   Men vado.
Artrando.   Oh numi!
Griselda.   Addio.
(parte Griselda con Corrado
Artrando. Vieni, o morte: a che tardi? Ancor non tronchi
Il lunghissimo fil della mia vita?
Vissi lieto sinor, ma parmi adesso
Un continuo morire il viver mio.
Folle colui ch’esser felice spera
Nella terra del pianto. Il pellegrino
Quando giunge alla meta, è sol felice.
La nostra umanità poichè del vizio
Schiava si fe’, non può goder mai pace,
In continua battaglia ognor si trova
Colle interne passioni. Misero Artandro!
Ieri almen fossi morto! Io non avrei
Duol maggior della morte oggi sofferto,
Ma conviene tacer: baciar conviene
La destra di lassù che ci percuote.
Noi nascemmo piangendo, ed è ben giusto,
Che la vita finiam piangendo ancora. (parte


Fine dell’Atto Secondo.