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LA GRISELDA 259
Ottone.   Io ti discopro il vero.

Il pubblico tumulto è una mia colpa;
Io ne fui promotor, io fui, che spinto
Dall’amor di Griselda, indussi il regno
Più volte all’ire. Ebber gran forza i doni
Nell’anime volgari, e nelle grandi
Ebbe1 colpa l’esempio. Eccomi, o Sire, (s’inginocchia
Pentito al fine, e la mia pena attendo.
Gualtiero. Mi basta il tuo dolore, e ti perdono.
Ma tu taci, Griselda? E lieta appena
Al tuo amico destin mostri la fronte?
Forse non gli dai fede? o forse intera
Non è ancor la tua gioia?
Griselda.   Io tel confesso:
La sciagura d’Oronta or mi dà pena.
Era degna di te.
Gualtiero.   Dimmi, Griselda:
Sposa del padre è mai la figlia?
Griselda.   Come!
Gualtiero. Se ne dubiti ancor, Corrado il dica.
Corrado. Consolati, Griselda, Oronta è quella
Che piangesti trafitta.
Griselda.   Oh figlia!
Oronta.   Oh madre!
Roberto. (Ora torno a sperar felice sorte). (da sè
Corrado. Quest’è colei che consegnommi in fasce
Il Re Gualtier, quando la prima volta
Si sollevaro2 i popoli soggetti.
Vide che lor spiaceva una tal figlia,
Onde ucciderla finse, e a me la diede,
Perchè al Re di Sicilia in di lui nome
Consegnar la dovessi: ivi cresciuta
Coll’amor di Roberto, ora ritorna
Della sua vera genitrice al seno.

  1. Nel testo: Ecco.
  2. Ed. Zatta: sollevarono.