Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/266

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contenti gli attori: il Casali, la Romana (Mém.es, partie Ia, ch. XXXVIII) il Vitalba (un ottimo Gualtiero: Mém.es, l. c.; e v. la sua lett. al Vendramin nel 1757, ed. da Aldo Ravà, Marzocco, 20 luglio 1913); contento più di tutti il capocomico, l’Imer. Che cosa dicesse propriamente lo Zeno, non sappiamo; ma ai 27 settembre di quell’anno il vecchio letterato scriveva da Venezia al marchese Gravisi di Capodistria: “A V. S. Ill.ma scrissi più volte, che delle mie cose drammatiche io fo presentemente sì poco conto, che anzi che nudrirne compiacimento di averle scritte, ne ho pentimento e disprezzo: talchè a chi si ponesse a criticarle e a dirne male, io quasi ne avrei più obbligazione, che a chi ne prendesse la difesa, e ne dicesse ogni bene. Trattone alcune poche, io le considero sconciature ed aborti” (Lett. cit., V, 152-3). Solo aggiungeva: “Posso però dire, che il maggior numero de’ miei Drammi è di mia invenzione, e del tutto miei”: (p. 153. Sullo Zeno, oltre Pistorelli cit., vedasi Max Fehr, A. Z. und seine Reform des Opern-textes, Zürich, Rascher u. C., 1912).

Alcuni anni più tardi anche la Rosa Scalabrini, che nel ’66 consolò e sposò il vedovo Medebach, faceva piangere il pubblico recitando la Griselda (Bartoli, Notizie istoriche de’ Comici Italiani, Padova, 1782, t. II, p. 164). Ma il Goldoni nelle citate memorie protestava che quelli onori “dovevansi in parte all’Autor primiero” e nell’87, stampando le Memorie francesi, si sdegnava che nell’edizione torinese del suo teatro (1777) gli fosse attribuita la Griselda (“...Je déteste les plagiats, et je déclare que je n’en suis pas l’inventeur”: partie 1, ch. XXXVII). Vero è che anche lo Zatta la ristampò nel 1792 senza ricordare il nome dello Zeno. Un’altra recita trovo per caso a Venezia ai 4 ag. 1800, sul teatro S. Cassiano, da parte della compagnia volante di Teresa Consoli.

Il popolo predilesse in ogni tempo questa figura nata quasi dal suo seno. Non senza audacia la virtù plebea di Griselda è contrapposta alla corruzione della Corte; e resta vinto il pregiudizio della nascita. Griselda precorre Pamela. “Griselda, l’eroina impassibile tra gli assalti della varia fortuna nella novella del Boccaccio e negli autori tragici” scrive alquanto prolissamente la signora O. Marchini-Capasso “che da povera contadina levata alla gloria del trono, ritorna rassegnata ai campi per evitare il malcontento del popolo, soffrendo in pace la perdita d’ogni bene ecc. ecc. riappare in tutte le donne goldoniane, rappresentanti l’amore costante messo alla prova, sul tipo della Moglie saggia o della Bona mugier, ferme nel sopportare rassegnatamente le dissolutezze del marito, e i più duri dispregi coniugali. Così la virtù della tolleranza, col piacevole esempio della commedia, fu predicata specialmente alle donne, dinanzi alle quali, dopo la successione dei casi disastrosi, l’eroina rifletteva trionfando: Quante volte in un giorno - Cangiò faccia il destin! ecc. ecc.” (Goldoni e la Commedia dell’arte, Napoli, 1912, pp. 178-9).

Tutto bene, ma il signor Giulio Trento pubblicando nel 1768 a Treviso certo libro Della Commedia, dedicato all’Albergati, borbottava: “Abbiansi adunque codesti panegiristi della virtù i lor sermoni. Per me, dove si faccia a imitare i costumi del popolo, più gradirò e pregiarò le malizie del Gianni e le arguzie del Pantalone, che la pazienza di Griselda o la costanza della Moglie amorosa” (p. 40). In fatti nei tempi moderni anche il popolino non