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poeta insomma del Goldoni”, mai e mai; nè è vero che ci potesse dare un capolavoro. Il suo don Giovanni è Sinadab, il re libidinoso nella Zobeide ( 1763): non sembra ch’egli potesse immaginare altrimenti l’eroe leggendario. Anche De Bévotte insiste troppo sull’informe sgorbio poetico del Dissoluto goldoniano, che non è degno di una minuta analisi (La légende de don Juan cit., pp. 170-177: il solito ridicolo raffronto col Festin di Molière era stato fatto da Mahrenholtz, Molière’s Leben und Werke, Heilbronn, 1881). E il De Vico? Non si capisce qui se voglia difendere il Goldoni o umiliare il Molière (Per un parallelo letterario mal fatto, Roma, Albrighi-Segati, 1913, pp. 75-84). Anche Chatfield-Taylor nomina invano l’autore del Festin (Goldoni, New-York, 1913, pp. 546-548): è più giusto allorquando ricorda che il giovane veneziano scrisse il Dissoluto per vendicarsi della Passalacqua (p. 547) e per mostrare quanto un artista possa deviare dal suo cammino (p. 120). Nulla aggiunge di nuovo Schmidbauer (Das Komische bei G., Munchen, 1906, pp. 65-67) e nulla di notevole, oltre il solito raffronto col Festin, ci offre M. Penna (Il noviziato di C. G., Torino, 1925, pp. 30-36. L’elemento pastorale che il P. scopre, c’era già a piene mani nella Griselda, ma qui è solo sfiorato e subito abbandonato; e il Lalli e l’Arcadia non c’entrano. Piuttosto è da notare, come nella Griselda, lo sfogo del contadino contro i cittadini, che diviene più audace e più vero di quel che fosse nei vecchi drammi pastorali). Migliori assai le sobrie note di R. Bonfanti nel suo diligentissimo studio sulla “Donna di garbo" di C. G. (Noto, Zammit, 1899, pp. 42-43 e anche p. 36 n.).

Nel 1756 Gasparo Gozzi stampava a Venezia nel tomo II delle Opere del Molière ora nuovamente tradotte (presso G. B. Novelli), il Don Giovanni ovvero il Convitato di Pietra: e la traduzione meriterebbe, mi sembra, d’essere conosciuta e apprezzata (per le versioni precedenti v. Toldo cit. e Ces. Levi, Studii Molieriani, bibliografìa pp. 191, 195, Palermo, Sandron, 1922). Ma ormai di don Giovanni s’impadronivano il ballo e la musica (vedasi, oltre Farinelli, Toldo, op. cit., pp. 459-461, n.). Ancora alcuni anni e Giovanni Bertati scriverà Il capriccio drammatico, rappresentazione per musica (Venezia, carnevale 1787, teatro S. Moisè), in due parti, di cui la seconda s’intitola Don Giovanni ossia il Convitato di Pietra. Di questo libretto dell’umile poeta trivigiano s’impadronì subito il famoso avventuriere Lorenzo Da Ponte, nato nella stessa provincia, e rifacendone più abilmente la disgraziata verseggiatura, e aggiungendovi alcune lepide scene, creò all’improvviso Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, opera buffa in due atti, che le note divine di Mozart (Praga, 29 ott. 1787, Teatro Nazionale) resero celebre in tutto il mondo. Si veda il paziente e diligente raffronto che fece Angelo Marchesan tra il libretto del Bertati e quello del Da Ponte: cap. XI del volume intitolato Della vita e delle opere di L. Da Ponte, Treviso, 1900. Sul Bertati uscì di recente un opuscolo del dott. Ulderico Orlandi, Il librettista del “Matrimonio segreto”, Roma, 1926, ed. dalla Rivista Nazionale di Musica. È quanto mai strano che il De Bévotte non conosca il libretto del Da Ponte e non ricordi neppure il nome del poeta cenedese, mentre accenna al Saggio amico dell’Albergati che con la leggenda dongiovannesca non ha da che rare. Il Farinelli dice che il Da Ponte, “guidato da un sentimento musicale finis-