Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/483

Da Wikisource.

ENRICO 479

SCENA V.

Leonzio e Matilde.

Leonzio. Figlia, che intesi mai? Dunque cotanto

La baldanza potrà del vostro core,
Che giunga fino ad aspirare al trono?
Matilde. Appellate baldanza1 O e non virtude
Il desio di regnar?
Leonzio.   Virtù? Qual nome
Osate dar ad un insano orgoglio?
In chi nacque vassallo l’ubbidienza
È sol virtù2.
Matilde.   Forse la prima io sono
Suddita nata, e fatta poi regina?
Leonzio. Se l’esempio giovasse, anco i delitti
Troveriano la scusa. E che pensate
Nel trono posseder? Forse la somma
Felicità? No: v’ingannate. Avreste
L’ira de’ grandi, l’odio de’ vassalli,
E lo sdegno comun fremente in volto3.
Matilde. Meta del mio pensier non è già il trono,
Ma d’Enrico il bel cor.
Leonzio.   Non va disgiunto
D’Enrico il cor dalla real grandezza4.
Matilde. Che fia dunque di me?
Leonzio.   Ite; a momenti
Tutto il vostro destin vi fia palese5.
Matilde. Vostra figlia son io...
Leonzio.   Penso per questo
Più al vostro ben che non credete.

  1. Bett.: Voi baldanza chiamate.
  2. Bett.: Virtù potrebbe — Esser forse in chi nacque al Regal Trono, — (S’è virtude il bramar vana grandezza) — Ma in chi nacque Vassallo è temeraria — La presunzion.
  3. Bett.: stariavi intorno.
  4. Bett.: da Maestà Reale.
  5. Bett.: saravvi noto.