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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1926, XXIII.djvu/505

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ENRICO 501
Punirommi così d’aver mal scelto

Di mia folle passion l’indegno oggetto.
Se ancor serbi per me, spietato Enrico,
Qualche stilla d’amor, vuo’ che tu frema
Veggendomi per sempre altrui legata1.
E se, ingrato, di me tutta perdesti
La dovuta2 memoria, almen potrassi
La Sicilia vantar d’aver prodotto
Una femmina tal, che al suo decoro
Seppe sacrificar la propria vita.

SCENA VI.

Ormondo dalla porta comune, e detta.

Ormondo. Ecco, Matilde, un vostro servo; e quando

Non sdegnate l’offerta, il vostro sposo.
Fe’ sperarmi Leonzio una tal sorte,
Nè sol3 quanto s’estenda il suo potere.
Promise a me la vostra man; ma ancora
Egli m’assicurò del vostro affetto.
Da voi però bramo saperlo. Io v’amo,
Quanto amar si può mai; ma non per questo
Usar voglio violenza al vostro cuore.
Matilde. Signor, figlia son io; del padre adoro
L’autorevole cenno: eccomi pronta
A porgervi la destra. Io dico quanto
Basta per esser vostra. Altro non lice
Dirvi per or d’onesta figlia al labbro.
Ormondo. Basta così per farmi lieto. Al tempio
Vostro padre ci attende.
Matilde.   Andianne. Io seguo
L’orme de’ vostri passi.

  1. Bett.: vuò, che tormento — Siati il vedermi ad altro Sposo in braccio.
  2. Bett.: tutta obliasti — La dolente ecc.
  3. Così il testo nelle edizioni Bettinelli e Zatta. Noi preferiamo leggere so.