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ENRICO 507
Chiare prove non son del suo delitto?

Leonzio. Deh non dite di più. Presto si oscura
D’una donna la fama. Olà, partite.
(Alli paggi, li quali prima di partire piantano le torcie in due torciere, e lasciano illuminata la sala.
Ritornate in voi stesso, ed apprendete
Quanto son vani mai tali sospetti.
La mestizia del volto, onde Matilde
Vi sembra rea, d’altra innocente fonte
Oggi deriva. Una fanciulla avvezza
A viver sempre in umil stato e sola,
Non si turba a ragion, qualor si vede
In braccio d’uom che non conosce appena?
Lo staccarsi dal padre è forse ingiusta
Cagion di pianto? Pretendete invano
Ch’una ritrosa figlia arda sì tosto
D’amor per voi. Il tempo, il tempo, amico,
Il gentil tratto e la saggezza vostra
Disporranla ad amarvi. Ah che piuttosto
La vostra diffidenza, il timor vostro
Le saranno cagion d’odio e dispetto!
Di timor in timor, di pena in pena
Condurravvi il sospetto, e incerto sempre
Del ver sarete; e come d’uom che sogna
Sarà il vostro veder, che troppo sono
Della immaginazion strani gli effetti.
Sogna talun che ha l’inimico a fronte,
Abbandona le piume e il ferro impugna,
E gira i colpi alle pareti e al vento.
Talun sogna un incendio, e il fuoco sente
E fugge, e corre, e dove trova il varco,
E sale, e scende, e precipizi incontra.
Sono larve coteste in chi sopiti
Nel sonno ha i sensi; ed un geloso amante
Sensi liberi ha forse? Ah che pur troppo